venerdì 29 marzo 2013

Qualcuno si è perso



C'è qualcuno che si è perso.
C'è qualcuno che ha perso la strada, qualcun altro la casa.
Bisognerebbe ragionare su cosa vuol dire perdere la casa, se ci stiamo riferendo all'atto dello smarrire le chiavi o vedersi pignorare l'abitazione.
C'è chi perde il lavoro. Chi perde la macchina, chi la fidanzata, chi perde un figlio. 
In fondo c'è gente che ha perso tutto e ormai non si ricorda neanche più ciò che aveva perso. 
Io non so che cosa ho perso, ma sono abbastanza sicuro di aver perso qualcosa; non so quando è successo, non me lo ricordo oppure non l'ho mai saputo, ma per certo so che mi manca qualcosa. Se sia qualcosa che ho proprio perso piuttosto che qualcosa che non ho mai posseduto non te lo so dire, resta il fatto che se uno non riesce neanche a focalizzare ciò che ha smarrito neanche può essere tanto sicuro di aver perso qualche cosa. E' una sensazione strana. Ti lascia un pò vuoto, un pò straniato.
Poi ad un tratto, a volte, la consapevolezza ti prende alle spalle, ti stende con la forza di un pugno nelle reni, ti fa rendere conto all'improvviso che cos'era quello che ti sei perso. Mi sarà capitato centinaia di volte nella vita, di essere preso a pugni dall'improvviso ricordarsi di qualcosa. Il dentista una volta, un compleanno un' altra etc etc. Anche fisicamente mi porto una mano allo fronte in un piccolo gesto di autopunizione, dandomi un leggero ma sonoro schiaffo: "ma porc....". Eppure ripensandoci ora, che penso di non aver scordato niente, non sono del tutto sicuro di ricordarmi se e che cosa ho perso.
Questa in fondo è una condizione comune al giorno d'oggi.
Se osservi i tuoi simili muoversi nella sicurezza di un ambiente affollato, come può essere un centro cittadino o un supermercato all'ora di punta, ti accorgi che tutti sembrano indaffarati, camminano da soli o in gruppo, ma si muovono svelti, determinati verso il loro obiettivo, verso la loro meta. E' solo quando li guardi attentamente, spogliandoti della fretta e della meta che ti accorgi che tutti, ma proprio tutti, sono così frenetici perchè cercano quello che si sono persi. Non importa se li osservi mentre mettono un pacco di biscotti nel loro carrello o se si accendono una sigaretta accanto a te, aspettando che il semaforo diventi verde per i pedoni. Non importa quanto esteriormente appaiano calmi, concentrati, sicuri, sono tutti mancanti di un qualcosa, mutilati da una leggera imperfezione; se provi a fermare qualsiasi persona in mezzo ad un gruppo affollato di gente sconosciuta per porgli una domanda semplice del tipo: "Scusi potrebbe mica dirmi che ore sono?" o "Gentilmente avrebbe da accendere?", avrai come risposta un gesto sbrigativo condito da monosillabi. In men che non si dica ti ritroverai di nuovo a fissare il movimento intorno a te mentre il tuo interlocutore avrà già preso il largo diretto alla sua meta. La fretta è il collante di ogni luogo affollato, il tessuto connettivo tra gli strati sociali. Se pensi a quanto la fretta sia così implicitamente accettata come costume sociale, come base di ogni relazione sociale con sconosciuti, potrebbe stupirti la facilità con cui sia entrata anche nella tua vita. La fretta, la velocità, che sembrano essere diventate la vita stessa, non sono altro che un sintomo causato dalla perdita.
A questo punto sarebbe anche lecito chiedersi: ma da che cosa deriva la perdita e la fretta di colmare questo vuoto?
E qui sarebbe lecito rispondere che è impossibile stabilirlo con precisione.
E' impossibile con metodo scientificamente approvabile, riprodurre l'insieme di cause che hanno portato l'homo sapiens sapiens ad evolversi nell'homo celerens. A noi rimane solo il sintomo, un archetipo junghiano che si agita all'interno della coscienza collettiva, che pulsa ad un ritmo sincrono a quello del progresso e dell'overdose informativa. Un archetipo 2.0, più social, che invece di costruire nella massa una struttura psicologica collettiva, de-costruisce ciò che abbiamo accumulato per generazioni; estende il tempo ad un presente eterno, ad un secondo infinito, ad un attimo perpetuo. Da un lato seduce chiunque bisbigliando al subconscio parole melliflue, con schemi ben precisi di evoluzione, ma dall'altro feticizza l'esistenza stessa.
Ed è forse proprio questo il punto di origine de "La Perdita", il peccato originale della mancanza. Oggi identifichiamo la vita con uno dei suoi molteplici feticci, condensiamo l'esistenza in una sola delle sue molteplici declinazioni. E' forse proprio questa la causa che da origine a questa specie di disabilità nella coscienza collettiva, i cui effetti sono lo smarrimento ed il dover accelerare continuamente per cercare di riempire i vuoti. Insomma si potrebbe dire che tutto origina dalla nostra umana compulsione a possedere oggetti e a catturare soggetti.
Quindi la prossima volta che chiederai l'ora ad un estraneo o camminerai in un luogo caotico ed affollato, fermati. 
E' facile rendersi conto che da fermi si gode di una prospettiva assolutamente antigerarchica, quasi zen. 
E' facile rendersi conto che da fermi è molto difficile perdere qualcosa e anche se dovesse capitarti è molto probabile che ritrovi subito ciò che avevi perso.

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